Lettera al Direttore del Corriere Fiorentino Paolo Ermini
Caro Direttore,
sul Corriere Fiorentino del 25 aprile la direttrice della Stanford University a Firenze, Ermelinda M. Campani, osserva giustamente che tra gli effetti del covid19 vi sarà la
necessità di ripensare il modello dello study abroad degli oltre 30.000 studenti universitari americani che ogni anno scelgono l’Italia per un periodo d’immersione culturale di solito non inferiore ai tre mesi – un tipo di relazione con le comunità locali che è il contrario del deprecato “mordi e fuggi”. Lo study abroad, in forte espansione fino alla pandemia, nella sola Toscana ha un impatto economico di oltre 300 milioni di euro annui e crea migliaia di posti di lavoro, molti dei quali altamente qualificati. Tra di essi vi sono i docenti, che hanno il compito fondamentale di fornire agli studenti gli strumenti per capire il nostro Paese. Si tratta di professionisti esperti e di alto livello, come rilevato da un’indagine condotta dall’associazione docenti, ASAUI, che i lettori del Corriere Fiorentino conoscono bene (si veda L’Economia del 24 giugno 2019) ma che è evidentemente sfuggita a Campani, secondo la quale i docenti “non esistono come entità univoca”. Ora, è evidente che i docenti hanno profili diversi perché sono attivi chi nella ricerca umanistica e scientifica, chi nell’arte o nell’artigianato, nelle professioni o nell’industria: dipende dalla varietà delle materie che insegnano. Il punto però è che hanno molto in comune: insegnano in classi tipicamente multiculturali – una quota rilevante degli studenti non è originaria degli USA –, elaborano metodi didattici innovativi e buone pratiche frutto dell’incontro tra le tradizioni europee e statunitensi, e spesso sono impiegati con contratti precari. Questo patrimonio di conoscenze e di know-how costituisce una risorsa straordinaria per il nostro territorio. Tanto più preziosa adesso che la crisi Coronavirus, riducendo nettamente i numeri degli studenti, chiama i tutti soggetti coinvolti, pubblici e privati, a una sfida nuova e impegnativa: puntare sulla qualità dell’offerta. Alcune idee: potenziare le opportunità di coinvolgimento diretto degli studenti nelle realtà produttive, culturali e associative della regione attraverso internships (stages) qualificate; integrare maggiormente la componente esperienziale e quella accademica, grazie a corsi disegnati per unire all’approfondimento teorico l’incontro pratico con le eccellenze regionali (e nazionali) nei diversi campi; incentivare il contatto diretto con tutto ciò che di meglio la città e la regione possono offrire – teatri, concerti, università, volontariato – per favorire la conoscenza a 360° gradi e quindi il senso di radicamento e un legame duraturo con il nostro Paese. Le istituzioni cittadine e regionali farebbero bene a convocare un tavolo di tutti gli stakeholders – università, docenti, operatori dell’accoglienza e del turismo – per rilanciare e sostenere il ruolo leader di Firenze e della Toscana nel campo dello study abroad. Il momento richiede un’azione “forte e concertata”, come scrive Campani. Superiamo vecchi schemi e tentazioni di fare ognuno per sé, valorizzando competenze e professionalità uniche come quelle dei docenti che, da decenni, “spiegano l’Italia” agli studenti internazionali che aspettano solo di conoscerla e di amarla.
Corriere Fiorentino, 3 maggio 2020
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