Intervista di Andrea Vivaldi
L’emergenza ha travolto anche università statunitensi in Toscana. Matteo Duni è il presidente dell’Associazione docenti università americane in Italia.
Professore, ci descrive la situazione attuale e futura?
«Il semestre estivo, che porta 4-5 mila studenti, è stato cancellato ed è improbabile che ci sia. Per l’autunno c’è solo un cauto ottimismo: alcune scuole sperano di riaprire negli Usa e di organizzare anche un semestre all’estero. Ma è difficile fare previsioni. In questa ipotesi potremmo fare delle lezioni online a settembre e poi tre mesi a Firenze, da ottobre a dicembre. Già ora stiamo terminando l’anno scolastico a distanza. La speranza è tornare alla normalità da gennaio 2021».
Le principali conseguenze?
«Lo scenario è di grossa crisi e come il turismo risente della possibilità di viaggiare. Se anche va bene avremo comunque un semestre autunnale ridotto, causando una forte emorragia di posti di lavoro. Specie per chi ha contratti a tempo. Oltre ai professori, ci sono altre figure a rischio: amministrazione, accompagnatori, staff. Molte piccole scuole potrebbero poi chiudere. La preoccupazione principale è l’impatto economico negli Usa, dove la perdita di occupazione è qualcosa di mai visto dai tempi della Grande Depressione. Bisognerà vedere l’effetto sulle famiglie che mandano i ragazzi».
Quale importanza hanno le università americane nel nostro territorio?
«Abbiamo un migliaio d’insegnanti e quasi 15 mila studenti all’anno. Questo porta un giro d’affari vicino ai 200 milioni, considerando anche musei, concerti, ristoranti. Consumi che verranno a mancare. In migliaia poi prendono casa in affitto e ci sono centinaia di famiglie che ospitano questi ragazzi, ricevendo rimborsi che ora non avranno più. Ma c’è anche un importante aspetto culturale».
Quale?
«Gli studenti creano posti di lavoro per persone altamente qualificate. In altre realtà c’è la fuga di cervelli. Firenze invece attrae insegnanti e ricercatori da tutto il mondo. Perdendo i docenti, viene impoverita anche l’economia della conoscenza della città, non solo quella materiale».
Dopo i primi contagi in Italia, gli Stati Uniti avevano fatto rimpatriare in fretta gli studenti e additato il nostro paese. Hanno cambiato idea?
«Completamente. In America l’epidemia è esplosa a livelli superiori e i giovani hanno compreso che il sistema sanitario italiano ha retto meglio di quello americano, almeno nelle regioni meno colpite».
Avete una cura per ripartire?
«Serve capire che la Toscana e in particolare Firenze sono speciali: non succede in tutto il mondo di ospitare ogni anno migliaia di studenti dall’estero. Il sistema di alta formazione va sostenuto e rilanciato. Non è una risorsa da assimilare al turismo, ma una componente di attrattiva culturale del territorio che poche altre città possono vantare. Va rafforzato quel legame di valore con le università americane che è ancora poco sfruttato. E incoraggiare il ritorno ricordando la qualità d’insegnamento che abbiamo a Firenze».
Repubblica – Firenze
1 Maggio 2020
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